da un articolo di Simone Pierotti da il Tirreno
A Carnevale ogni scherzo vale. Non sempre, però. Non a Viareggio, almeno. Perché, se da una parte vi furono, fin da subito, tentativi di mettere alla berlina il potere, sul versante opposto una nutrita schiera di bersagliati provò a limitare questi sberleffi, lasciando cadere la mano pesante della censura. E così è stato negli oltre 130 anni di questa manifestazione.
Episodi di satira.
Primi episodi di satira (e censura). Appena nato, eppure già contestatore e dissacrante: è il 1874 e a Viareggio, in seguito all’incoraggiante esordio di un anno prima, è nuovamente Carnevale. A margine della parata di carrozze fiorite, lungo via Regia, viene organizzato un concorso a premi per maschere, con tanto di giuria: ad ottenere il massimo consenso è il travestimento alquanto bizzarro di un uomo che, attraverso una serie di giochi di parole, si prende beffe di tal Alfonso Piatti, agente delle tasse di Camaiore, dandogli del matto. Il diretto interessato, non gradendo la satira, porta a conoscenza del fatto il Prefetto di Lucca che, dal canto suo, invia una lettera al sindaco di Viareggio, chiedendo chiarimenti e minacciando di sporgere denuncia all’autorità giudiziaria. Il sindaco sbroglia la vicenda, etichettando le lamentele del Piatti come una mania di persecuzione, frutto insomma di una personale interpretazione della maschera vincitrice del primo premio.
L’anno successivo è l’amministrazione comunale a finire nel mirino della satira: la notte del 7 febbraio fa irruzione al Teatro Pacini un gruppo di sei viareggini, i cui volti sono resi irriconoscibili da maschere con sembianze animali e vegetali, che polemizzano nei confronti della giunta (testa di zucca per il sindaco, testa d’a sino per l’assessore alla pubblica istruzione…). Gli autori della trovata vengono identificati dalle autorità comunali e, secondo alcune fonti, denunciati per vilipendio alle istituzioni. Sul finire del secolo (1899) la satira politica sale, intanto, a bordo dei carri allegorici, introdotti qualche anno prima: «L’alleanza italo-francese» vince le 40 lire di primo premio.
Il ventennio fascista.
Dopo la luttuosa parentesi bellica e la ripresa nel 1920 (ma senza carri allegorici), il Carnevale viareggino riparte nel segno di alcune novità, tra cui il primo manifesto ufficiale, la nascita della rivista ufficiale ed anche la prima canzone ufficiale. Una di queste, «Maschereide» del 1922, suscita polemiche per il suo testo: è una canzone impegnata, che inneggia alla gioia, ma allo stesso tempo condanna quanti disprezzano l’uso della maschera. Quasi ad anticipare eventuali ripercussioni personali, l’autore Icilio Sadun ne elabora una versione più disimpegnata ed annacquata, dal titolo «Beoneide», destinata però a poco successo. Quanto ai carri, fare satira politica è pressoché impossibile: i bozzetti sono sottoposti all’approvazione di un’apposita commissione giudicante e delle autorità di pubblica sicurezza. «La satira al regime? Dio ne scampi, c’era da farsi ammazzare», dichiarerà in seguito il carrista Tono D’Arliano. Un celebre episodio di censura si verifica nel 1939 ed ha come protagonista un giovanissimo Arnaldo Galli: il futuro decano dei maghi della cartapesta si cimenta nella realizzazione di un carro lillipuziano ispirato al film «Un giorno alle corse» dei fratelli Marx. Un gerarca fascista gli impone di bruciarlo, poiché celebrava un’opera di attori con origini ebree (in Italia, nel frattempo, erano state introdotte le leggi razziali). Una curiosità: è in questi anni che si decide di recintare i viali a mare dove sfilano i carri, introducendo l’ingresso a pagamento.
Anni ’60.
È il boom della satira politica. Esauritasi un’altra tragica esperienza, i festeggiamenti riprendono nel 1946: il rinato Comitato Carnevale non impone limiti ai carristi sui temi da affrontare, ad esclusione di quelli a carattere religioso, politico e militare. Prevale, dunque, la voglia di tornare a ridere e scherzare gioiosamente, senza prendere di mira i potenti di turno. Il Carnevale cade così in quello che viene definito una sorta di «qualunquismo allegorico»: con gli anni Sessanta però, oltre al boom economico, a Viareggio giunge anche quello della satira. Nel 1961 la Rai, che proprio sui viali a mare aveva effettuato la sua prima diretta tv esterna, riserva riprese e commenti sbrigativi ad alcune costruzioni ritenute politicamente scomode: la più danneggiata è «Mercato comune» di Arnaldo Galli, complesso mascherato che vince, comunque, il primo premio.
Risale al 1963 un caso senza precedenti: il sequestro di una mascherata di gruppo. Accade a «Porcherie d’oggi» di Giovanni Lazzarini, che raffigura chierichetti con sembianze di maiali mentre celebrano il funerale di un cavallo: già al termine del primo corso il commissario di polizia ne ordina il sequestro, denunciando alla magistratura il carrista per vilipendio alla religione cattolica. La vicenda si sposta nelle aule giudiziarie: assolto in primo grado, Menghino viene poi condannato a un mese di reclusione e alle spese processuali. Negli anni successivi fa la sua comparsa la censura preventiva: i bozzetti dei carri politicamente scomodi vengono bocciati ancor prima di tramutarsi in mascheroni.
Anni ’70.
Il rapporto si inasprisce. Nella decade successiva la vis polemica di alcuni carristi non accenna a placarsi. Tutt’altro. Il gigantesco gatto rosso di «Arriva Mao» (1970) della coppia Lazzari-Lazzarini riduce a brandelli la bandiera Usa (ma con le palline al posto delle stelle) e rischia la denuncia per vilipendio; la Rai non trasmette nel corso di una diretta tv interviste realizzate ad alcuni carristi e trascura le tanto contestate costruzioni «Avanti popolo» di Giovanni Lazzarini e «Lotta all’inquinamento» di Silvano Avanzini (1972); lo stesso Avanzini è costretto a rimuovere fez e stivali (allusione al fascismo) dai pulcini che escono dalle uova, covate da una grande chioccia con il volto di Amintore Fanfani (1974), una costruzione a cui le telecamere della tv di Stato riservano nuovamente inquadrature frettolose e parziali.
Anni ’80- ’90.
È la fase calante. A partire dagli anni Ottanta, l’epopea della satira politica inizia a tracciare una parabola discendente: in questo periodo si segnalano solo le bocciature, per motivi politici, dei carri «Il sol dell’avvenire» e «Il sogno americano» di Silvano Avanzini e di «Che avete fatto?» di Arnaldo Galli, reo di aver rappresentato il Creatore con indosso la maschera dell’ossigeno. Successivamente, sarà Roberto Alessandrini a suscitare polemiche con «Lacrime di coccodrillo» nel 1992 (primo carro ad essere censurato sulla rivista ufficiale) e con «Bomba su bomba» del 1997 (un missile-fallo esce dal cappello da gendarme indossato da Chirac).
Uno fra i pochi, nel 2007: la coppia Lombardi-Vannucci presenta in chiave carnevalesca lo scontro tra cristiani e musulmani, ma per scongiurare il rischio di eventuali attentati (?) viene invitata a ripiegare su un più innocuo scontro tra Bene e Male.