Ecco la relazione della giuria relativa ai carri di 1.a categoria. La giuria era formata da Vittorio Maschietto, Piero Mori, Antonio Bertelli, Adalgisa Mazza, Fabrizio Cinquini, Marcello Ciccuto, Antonella Manzione, Cristiana Gemignani, Manrico Testi.
Avanti miei Prodi (di A.Avanzini, 1° classificato)
È tutto molto chiaro e semplice: l’ispirazione diretta, la citazione da Monicelli, il momento storico che il nostro paese sta attraversando. Tutto però è controllato e condito in maniera sopraffina. La straordinaria modellazione e gli altrettanto straordinari movimenti, formidabile coreografia e la confezione degli abiti-stracci dei figuranti, uno diverso dall’altro, con la cura attenta dei particolari. Ma ancora più su nei meriti sta l’effetto corale e l’emozione che questo carro desta al suo passaggio al punto da strappare l’applauso del pubblico.
Altri meriti inconfutabili stanno nel trattamento dei soggetti. Colpisce la bonomia e la virtù di Prodi che infonde speranza e procede attraverso un’Italia in rovina (colpisce la scelta difficile dei colori medievali), nonostante sia armato d’un bastoncino e di un paio di forbici da “taglio”, abbia per elmetto un colabrodo e per corpetto carta di giornale stampata a calunnie medianiche, sia accompagnato da due paladini terrorizzati e da due figure del male incombenti e sia sballottato dal proprio destriero di legno cadaverico (un “Guernica” molto intenso). Possiamo dire che Avanzino anche quest’anno, e forse meglio, ha colto l’attimo pur in assenza dello straordinario impatto, cioè della cifra stilistica più propriamente carnevalesca, dimostrata con il toro dello scorso anno.
Si va a mori’ e po’ si torna (di A.Galli, G.Lebigre, C.Roger, 2° classificato)
È un vero tema del carnevale di Viareggio. Sfrontato, ammiccante, ma anche profondo. La realizzazione è esemplare, coerente con la necessità di offrire cultura spettacolare. Il frontale del furgone mortuario con i tre che lo guidano allegramente, produce un impatto talmente formidabile da entrare a pieno titolo nella storia del Carnevale di Viareggio. La sezione frontale occupa l’intera larghezza stradale e si eleva all’altezza degli edifici a margine. Passa lui, non c’è più posto per nulla e nessuno. Perfetto il disegno e i colori del furgone vecchiotto che interpreta alla perfezione l’immaginario collettivo. Nel retro, secondo la concezione strutturale tipica di questi carristi già imitata da altri, c’è la festa pagana, il Carnevale con tre grandi scheletri dai colori di base (uno giallo, uno azzurro, uno rosso) che danzano. Quello che dovrebbe essere il fulcro del carro lascia tuttavia meno impressi ed un po’ delusi sia per l’apertura del furgone, sia per le figure, che sono figlie di un’impostazione teatrale e non producono la stessa tensione (soprattutto nei bambini) provocata dall’apparizione frontale. Avremmo voluto che fossero prorompenti.
Vivere (di G.Francesconi, 3° classificato)
Si apre come un libro di favole per grandi e scattano sui magnifici personaggi, davvero indimenticabili, che fluttuano sospesi, volanti, refrattari. Il supporto reale non conta, il basamento è diventato cielo. Anche il castello di carta è un “pop-up” che scatta su, all’aprirsi del libro. Il dietro non partecipa, ma è conseguente alla prospettiva centrale verso la quale il carro, come un palcoscenico, attira gli spettatori che sono anche invitati a leggere appunti, schizzi e brani letterari incastonati nei fianchi di cui uno dell’autore.
Movimenti armonici, mediati, ma mai spettacolari. Colori raffinatissimi. Un’aria di poesia. Sarebbe opportuno, dopo questa reiterata prova d’autore, che Francesconi si cimentasse l’anno prossimo con un tema innovativo nel Carnevale e non solo intorno al Carnevale.
Il vaso di Pandora (di F.Galli, 4° classificato)
Ad una buona idea ed al favorevole momento storico per applicarla non corrisponde uno svolgimento degno dei presupposti. Tuttavia, è notevole la spettacolarità dell’insieme. Non si è affrontato con coraggio il brillante leit-motiv del nuovo personaggio mitologico ed il “Centauro di Calciopoli” nasce piccolo, timido. Le sovrastanti coppe sul retro (enormi, non si sa il perché, e statiche) ne riducono ancora di più l’impatto. Gli spiriti dei giocatori esalati dalle solite eterne e scontatissime fiamme, hanno bisogno di spiegazioni per farsi comprendere. Si riscatta parzialmente con alcuni particolari azzeccati, sia sotto il profilo dell’invenzione, sia sotto quello della modellazione e del colore (il Moggi nudo con cellulari, il Lippi giustiziere dei galletti).
Nel paese delle pisalanche tante risate e poche palanche (di M.Breschi, 5° classificato)
Un carro buonista, ma che lascia incompleti ed irrisolti i perché di questa fiducia. Costruito non a palcoscenico, ma a tutto tondo, sfrutta bene i movimenti eccellenti del bellissimo e carnevalesco pagliaccio cuspidale, che va molto in alto, ma rastrema troppo la sezione dando l’impressione, a torto, di un carro piccolo. Bella la disposizione dei figuranti in gradinata concentrica con parruccone da pagliaccio e colori vivaci. Il carro dimostra tuttavia mancanza di ispirazione e povertà esecutiva nella base, con un nuvoloso rosa indistinto – un polverone? un fungo atomico? – da cui escono otto draghi verdi tutti uguali che hanno bisogno di scritte per individuarne il ruolo. Anche la struttura che regge la pisalanca non è in alcun modo giustificabile nell’appoggio e nella povertà esecutiva.
Dolce sinfonia (di R.Verlanti, L.Bonetti, 6° classificato)
Un tema di maniera senza alcun tipo di presa sul pubblico se si esclude la soverchiante prestanza del corpo nudo di donna (con tutto quello che se ne può dire, messi di fronte a simili banalità: dalla battuta pesante, allo sdegno), peraltro mitigata nei corsi successivi al primo con decorazioni sulla pelle dei fianchi e dell’addome.
Il viso della figura non appartiene a nessun personaggio riconoscibile, a meno che non si sia voluto indicare una vip televisiva, tuttavia non somigliante al modello. Tutto il resto del carro procede secondo uno schema frusto e prevedibile, che fa pensare a gravi insufficienze fin dalla presentazione del bozzetto. Così facendo viene meno persino l’attenzione che sarebbe dovuta alla buona modellazione ed alla capacità di scegliere i colori.
Mamma mia che roba brutta ormai siamo alla frutta!!! (di A.Ricci, 7° classificato)
Sembra più un titolo da maschera isolata che da carro. La relazione di accompagnamento abbraccia invece i grandi problemi del degrado terrestre. Perché giocarsi un tema così importante con una battuta, che fra l’altro ne riduce la comprensibilità? Facile still-life, ben modellato senza problemi di scala o di rassomiglianza. Colori chiassosi. Carro scarno al centro, è troppo piccolo il soggetto centrale col corpo a mappamondo e non risolto nel sostegno della macedonia principale. Muove bene. Il retro è approssimativo.
Missione impossibile (di F.Malfatti, 8° classificato)
Pur in presenza di un tema centrato reso con sufficiente ironia, confermata dalla grafica e dai numerosi piccoli particolari freschi ed azzeccati (il colino tricolore; i parabordi a mortadella), il carro tuttavia dà una sensazione di modestia. È al limite tra un carro di prima ed uno di seconda categoria. A questa prima impressione contribuisce la figura del marinaretto Prodi in caricatura, ma troppo piccola e, soprattutto troppo statica. Anche le vele burlone, che avrebbero rappresentato una buona cornice sulla sommità del cavallone di un mare, che vuol essere come quello disegnato da un bambino, sono sottodimensionate e insufficienti nel movimento. È assente il coinvolgimento del pubblico.
Lo stato di salute del dissenso (di S.Politi, P.Borri, 9° classificato)
In linea teorica sarebbe giusta la scelta di illustrare una visione del carnevale come punta satirica del caos che circonda, ma lo svolgimento del carro autorizza a credere che invece si sia voluto mandare un messaggio moralista, anelante ad un riscatto, sul quale si è stratificata una involontaria, enorme e controproducente confusione. Il messaggio non giunge, offuscato da una ridda di figure spesso gratuite o addirittura banali come i soliti teschi. I quali teschi (che sono addirittura quattro) rappresentano l’immagine più pregnante del carro data la staticità e la goffaggine della grande macchina centrale tritacarne. Il carro è dunque più grafico che conseguente al tema. A riprova di ciò si debbono citare i bei bassorilievi al contorno e li esempi sparsi di maestria nel modellare e nel colorare. Peccato.