Padre, Dio della Vita, che non hai “creato la morte e non godi per la rovina dei viventi”, noi abbiamo ancora negli occhi le immagini della tragedia che una settimana fa ha travolto le esistenze, le storie, le speranze e i progetti, di molti nostri fratelli; una tragedia, Signore, che ha sconvolto la quotidianità di una Città ed il suo reticolo di relazioni, amicizie, sentimenti, vivacità e problemi; un’altra tragedia che ha colpito la coscienza del nostro Paese, lasciandola turbata e perplessa, e che ci unisce più intimamente alla comunità de L’Aquila cui rinnoviamo la nostra vicinanza.
Chissà per quanto tempo queste immagini rimarranno impresse nel nostro intimo… chissà per quanto tempo “la tragedia di Viareggio” segnerà il ricordo di un dolore grande, di tanta sofferenza del corpo e dell’anima, di uno smarrimento e di una angosciosa ricerca di tanti “perché?”, del desiderio di volti persi per sempre o sfigurati per sempre… Mio Signore, personalmente non mi sottraggo nel dirti e nel dire che quel fuoco mi ha profondamente impressionato, quei bagliori nella notte, altrimenti segno di calore e di sicurezza, sono sembrati il visibile di un non-senso, di un negativo assoluto che tutto fagocita e tutto distrugge, alimentato certamente non solo dal caso e dalla fatalità…
Oggi noi siamo qui perché quella memoria – ancora incandescente -, ci aiuti, anche con durezza e audacia a ricostruire, con il Tuo aiuto e la Tua pazienza, un percorso di senso e di verità, perché sia riconsegnata, in particolare ai nostri fratelli morti e feriti, a tutta la città di Viareggio, a chi ha sofferto –ovunque- per questo evento di morte, una dignità e una libertà inespropriabili. È il percorso che partendo da quel fuoco che ha divorato vite e storie conduce ad un altro Fuoco, quello che questa liturgia testimonia, quello del Tuo Amore e della tua scelta di stare accanto ad ogni uomo, sempre e dovunque. È il percorso che ci accompagna dal ‘fuoco che sfigura’ al ‘Fuoco che Trasfigura’. La Tua Parola che abbiamo proclamato e ascoltato, ci ha ricondotto al nucleo della nostra fede: “Io lo so che il mio Redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere” . Sono parole dell’Antico Testamento che in qualche modo anticipano la Risurrezione del Tuo Unico Figlio, Gesù Cristo, l’evento che illumina il mistero della morte dell’uomo. E illumina di Resurrezione i resti martoriati, che Tu vedi, di questi nostri fratelli e sorelle che, tutta la Città di Viareggio, la Terra di Lucchesia ed oltre, piange insieme ai loro cari, in particolare unitamente alla Comunità magrebina che serenamente vive sul nostro territorio.
La profezia bella della Risurrezione del Figlio di Dio, del Tuo Figlio, che nella pienezza dei tempi ha trovato compimento nell’Annuncio Pasquale, ci svela, o Padre, il senso profondo delle drammatiche immagini di morte che sono scorse in questi giorni sotto i nostri occhi: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?: non è qui, è risorto!” . Vedi, o Padre, il Crocifisso, al centro della nostra Assemblea, venerato qui dal popolo viareggino, ci riconduce al ‘Volto Santo’, la sacra immagine custodita nella nostra Cattedrale, emblema e sintesi della fede della Terra di Lucchesia; noi sappiamo che il ‘Volto Santo’ del Figlio di Dio riassume il volto di dolore dell’uomo di ogni tempo, come ci dice il profeta Isaia: “Tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto… Uomo dei dolori che ben conosce il patire”.
Ma la morte di Gesù non è il venir meno della vita, anzi ne è l’inizio pieno, eterno!, il dilatarsi di una vita nuova che scaturisce dal Tuo Amore Paterno. Non sempre, Dio amante della Vita, abbiamo compreso con disponibilità che lo scopo e l’effetto della passione del Signore Gesù è di raccogliere insieme gli uomini di tutte le culture, da tutti gli angoli della terra, in un’unica comunità, in un’unica famiglia. Aveva detto Gesù: “Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” . Gesù innalzato sulla croce diventa il centro di attrazione e di riferimento dell’umanità perché la Croce rivela il Tuo infinito amore per noi.
Non è difficile da capire: la morte di Gesù in croce non è certo il tributo che una divinità violenta esige per essere ripagata dal torto fattogli dall’umanità; no, è il segno di una disponibilità e di una donazione totale. Non appartiene forse al linguaggio degli innamorati la frase “Ti amo da morire!?” cioè “ti amo tanto da dare la mia vita per te?”. È esattamente quello che Dio fa e consente al Figlio di fare, è ciò che Tu o Signore hai fatto e continui a fare per noi, Innamorato delle Tue creature. Signore, Tu sai tutto: sai che la storia dell’uomo è intrecciata e sostenuta da tanti, ammirevoli atti di amore. Allo stesso tempo la storia dell’uomo ha conosciuto e continua a conoscere violenze, ingiustizie, tragedie umane e disastri ecologici. La strada delle Beatitudini tracciata e affidata da Gesù ai Suoi discepoli, quali noi siamo, è la risposta a tali interrogativi che inquietano da sempre, ad ogni occasione di morte ricorrente, il cuore dell’uomo. Il ‘Beati i poveri in spirito’, ovvero beati coloro che si fidano del Tuo Amore di Padre, che ci hai creati e redenti in Cristo, è la chiave di volta per entrare nel misterioso intreccio della vita e la storia.
La condizione di povertà e di finitezza pone l’uomo davanti a Te nella condizione del bisognoso di eternità: questa è la posizione corretta dell’uomo davanti a Te o Dio, che apri l’uomo a un atteggiamento giusto nei Tuoi confronti: gli impedisci così ogni orgoglio e lo apri alla fiducia semplice e docile nella Tua Persona di Padre. Quando l’uomo conta solamente sulla propria forza, è portato a difendere la propria vita con violenza, sentendosi minacciato. Chi confida nel Signore è libero da tutte queste preoccupazioni perché è al sicuro dentro la Tua mano Divina. È libero; libero di amare e di donare gratuitamente. E la stessa Beatitudine –‘Beati gli afflitti, perché saranno consolati’– assurda nella logica del pensiero umano, va in questa stessa direzione. Vuol dire: beati gli afflitti, non perché sono afflitti, ma perché l’orizzonte della loro vita non è più solo il mondo.
Ma se l’orizzonte sei Tu, o Dio, l’afflizione certo rimane l’afflizione, ma oltre l’afflizione c’è la consolazione di Dio, ci sei Tu, Padre, capace di consolare l’uomo, capace di colmare la nostra ‘solitudine’. Grazie, o Padre, perché ci sei accanto. E per noi fratelli, cosa insegna tutto questo? Quale insegnamento essenziale trarre di fronte alla morte e alle morti violente che hanno colpito le nostre famiglie, la nostra città?. Ecco la sintesi della fede cristiana: il mistero della morte di Gesù, il Figlio di Dio, si intreccia con il buio della tragedia umana e la illumina della luce della Sua Risurrezione: “Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede” . – Alla luce della proposta evangelica di Gesù che rischiara la totalità della vita dell’uomo –il suo nascere e il suo morire– c’è tuttavia da interrogarsi sul ‘modo di vivere’, per certi aspetti violenti o ad ogni modo che mettono a rischio la vita stessa, a cui concorriamo tutti, con i nostri stili di vita personali e collettivi. – È da tempo venuto il momento che il nostro territorio, la nostra Terra, con il contributo e la responsabilità di tutti nessuno escluso, diventi come Dio l’ha voluta, ‘Madre Sicura’, ‘terra sicura’, proprio convertendo gli stili di vita personali e collettivi.
Accolgo ancora le parole pronunziate dal Santo Padre, domenica scorsa dopo l’Angelus e che, appena il giorno prima, nel colloquio e nell’incontro personale che ho avuto
con Lui, mi aveva già anticipato: “auspico che simili incidenti non abbiano a ripetersi e sia garantita a tutti la sicurezza sul lavoro e nello svolgimento della vita quotidiana”. Con i sentimenti espressi anche dal Santo Padre e dall’Episcopato Italiano, ci confermiamo nella vicinanza a tutte le famiglie provate dalla morte dei loro cari, continuiamo a vegliare nella trepidazione e nella speranza accanto alle famiglie dei feriti gravi, e con le risorse della condivisione e del pane spezzato ci impegniamo nei legami di sostegno e di aiuto fraterno a chi è stato colpito anche nei beni materiali. Ringrazio la Città di Viareggio che, animata da un forte spirito di accoglienza, ha espresso sin dai primi attimi della tragedia in tutte le sue componenti –privati cittadini, istituzioni pubbliche, Protezione Civile e Vigili del Fuoco, Associazioni di volontariato, sacerdoti con le loro comunità cristiane– una carica di amore senza misura che ha segnato e continuerà a segnare la vita quotidiana della nostra Città e del nostro territorio.
Due simboli, tra altri, sono fissi nel nostro animo e resteranno per tutti noi come punti di riferimento a guidare e ispirare la nostra vita quotidiana: il piccolo Leonardo, che ha perso i due fratellini e la mamma, mentre il papà lotta con tutte le sue forze per la vita; la giovanissima Ibitzen Ayad ragazza magrebina che ha perso tutti i suoi cari e che nella Città di Viareggio –ove la comunità magrebina si sente a pieno titolo parte viva della Città– può essere certa di trovare la sua famiglia. Il futuro di speranza che emerge dalla nostra tragedia l’ho visto ieri sera, passando nelle strade della nostra città, ben riassunto su uno striscione lasciato sul luogo della tragedia e scritto da una mano e un cuore generosi, e che interpreta bene i sentimenti di tutti noi: “Viareggio risorgi più bella”.
Italo Castellani – Arcivescovo di Lucca