Ecco la relazione della giuria relativa ai carri di 2.a categoria. La giuria era formata da: Francesco Belluomini, Francesco Toscano, Gianni Costa, Angelo Tabarrani, David Tabaracci, Pierpaolo Baldini, Cinzia Cinquini, Sabrina Lugnani, Maura Micheletti.
Arlecchin burlando dicea la verità (di J.Allegrucci, 1° classificato)
Complesso di dimensioni forse contenute, ma certamente costruito nella versione consona ad un vero carro di seconda categoria. Buona la modellazione delle numerose maschere, che riempiono il corpo centrale ed esterno del complesso. Adeguati i movimenti meccanici (non sfuggendo, tuttavia, l’immobilità dello sguardo del mascherone centrale) e testuali, che conferiscono all’insieme l’immagine di un festoso carosello. Ottima la collaborazione multizonale, come non secondario l’impatto scenico complessivo.
Marcello I (di E.Cinquini, 2° classificato)
Si evidenzia l’altezza della costruzione in gara, degna di un carro di categoria superiore. Non troppo originale l’idea dell’asse orizzontale semimovente, sul quale si elevano i cinque mascheroni rappresentanti i quattro calciatori (a dire il vero non troppo somiglianti), mentre appare di buona fattura e discreta somiglianza il volto di Marcello Lippi. Il messaggio è chiaro e la colorazione è pertinente, ma occorre tener conto della modellazione non eccelsa del corpo del mascherone centrale, così come della carenza dei movimenti meccanici. Dispiace che un carro di quelle dimensioni non ospiti in sé altri manufatti di qualsivoglia materiale, in basso o di contorno laterale, non ritenendo sufficienti le tre fonti di luce simil-fiamma olimpica, seppure quest’ultime piacevoli alla vista.
American graffiti (di G.Maggini e L.Maggini, 3° classificato)
È ben evidenziato il tema affrontato dai due costruttori, presentandosi in pubblico come un carro di facile lettura e ben assortito nell’insieme dei colori e delle reminescenze a Stelle & Strisce. Rimane tuttavia la constatazione di un uso ridotto di cartapesta. Poiché, all’Elvis Presley centrale, si accompagnano unicamente le ripetute icone dei cartoons USA degli anni Trenta- L’impressione complessiva non dispiace, ricalcando fedelmente, seppure in sedicesimo, quanto si è voluto rappresentare. Peraltro, le due gigantografie rappresentano le significative e simboliche icone dei turbolenti anni ’60 in America. Rammarica molto, tuttavia, che gli autori di “American graffiti” non abbiano tenuto conto delle possibilità loro offerte dalle pareti posteriori del carro, limitandosi ad incollarvi pochi e minuscoli oggetti significativi della merceologia statunitense.