Questo manifesto vuol essere un inno alla libertà e alla trasparenza assoluta, alla vera creatività e cultura che deve necessariamente espandersi in città e venir prima di qualsiasi “grande evento” (mostra, festival, spettacolo, concerto che sia). Anzi, è proprio questo sostrato di spiritualità diffusa che impedirebbe ai “grandi eventi” di trasformarsi, come accade sempre più di frequente, in operazioni meramente turistico-commerciali, o, peggio ancora, propagandistiche da parte di politici-burocrati “senza orrore di sé stessi” come direbbe il grande Ettore Petrolini che fu un viareggino (estivo) di adozione.
Liricizzare la città (e qualcosa di determinante, in questo senso, con le nostre “Storie d’archivio” è già accaduto): il racconto, il teatro, la musica, la poesia, l’evocazione medianica, sono strumenti straordinari che non abbisognano di niente, soltanto della propria inalienabile intelligenza, sensibilità, capacità di ricerca e gioia creativa. Liricizzare la città significa recuperare affettivamente e difendere a denti stretti la sacralità dei luoghi scenario della propria esistenza. Soprattutto il teatro, inteso in senso amplissimo, può far molto per contrastare la desacralizzazione in atto spesso a fini squallidamente personalistici e ignobilmente speculativi in nome di una modernità di merda.
Raccontare – come abbiamo fatto – la storia della “Bimba che aspetta” davanti alla poetica statua funeraria del cimitero (e nel contempo far conoscere i tanti colpevoli scempi nel cimitero monumentale), raccontare – prima o poi lo faremo – la vita straordinaria di Louise Jenison, la romantica signora inglese, erede diretta di Guglielmo il Conquistatore, che fondò la pittoresca chiesina anglicana del Redentore e di Tutti i Santi e cantò la gloria e la bellezza di Viareggio, davanti alla chiesina stessa (e magari interrogarsi come mai sia stata tristemente ridotta in pizzeria). Ogni angolo della città può diventare occasione e stimolo di confronto con la propria memoria individuale e la memoria collettiva della comunità. Da lì a rendersi conto di quanto la città sia sporca, abbandonata, cementificata, tradita, violentata, prostituita il passo è breve.
Ma la battaglia per restituirla alla sua segreta quiete, alla sua materna purezza, alla sua paterna e ludica vivibilità non passa più dai canali tradizionali della politica. C’è bisogno della poesia, dell’immaginazione in atto che coinvolge e sconvolge tempi e luoghi, storie e misteri, anime e mondi.
Pensate che bello: scrittori, poeti, artisti, musicisti, teatranti, cineasti, filosofi, medium, meglio ancora: appassionati e sognatori che non vogliono essere imprigionati in definizioni (le persone di spessore sono assolutamente autosufficienti dal punto di vista immaginativo), viareggini, o che amano Viareggio, o che hanno scelto Viareggio per le loro creazioni, s’immergono nella città, ne animano i luoghi, li purificano dalla grettezza accumulata in questi ultimi anni – perché davvero mi viene da piangere se penso a com’è stata ridotta questa città, al punto da pensare certe volte di fuggir via! – e la vita quotidiana torna a tingersi di magia, di poesia, di semplicità, attraverso un’azione che è anche contemplazione (le mie quattro parole fatate: profondità e incantesimo, innocenza e quiete): un’infanzia ritrovata, tra mille segreti, suggestioni, scoperte continue su e giù per il tempo (perché anche la storia di Viareggio è in gran parte da riscrivere), e ritrovata l’infanzia – e la vera vita, la vera espressività, quanto di più lontano dal business, dal conformismo e dall’algida mediocrità dell’industria culturale – com’è ammissibile lasciare che qualcuno torni ad inquinarla con le tre terribili S – sesso, soldi, successo – che ottenebrano le coscienze del mondo occidentale?
Riccardo Mazzoni per il gruppo delle “Storie d’archivio”